Il 2 marzo 1921 gli operai e i marinai rivoluzionari di Kronstadt insorgono con la parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet, non al partito”.
Dopo due settimane di lotta sanguinosa, la ribellione viene soffocata dall’Armata Rossa.
Kronstadt è la principale base navale russa nel Mar Baltico, e fin dalla rivoluzione del 1905 si caratterizza per lo spirito rivoluzionario. L’8 marzo del 1917, terzo anno di guerra, le operaie di Pietrogrado scendono in piazza per la pace e la libertà. È l’inizio della Rivoluzione Russa, e gli operai e i marinai rivoluzionari di Kronstadt danno vita ad un soviet particolarmente radicale, dopo aver cacciato gli ufficiali e il governatore. Da quel giorno fino alla Rivoluzione di Ottobre il governo provvisorio tenterà inutilmente di riprendere il controllo della base, ma il soviet locale riconosceva come unica autorità il soviet di Pietrogrado. Lo slogan “Tutto il potere ai soviet” trovava nell’isola del Golfo di Finlandia un’applicazione radicale. Accanto al soviet, organismo che riuniva i rappresentanti degli operai, dei marinai e dei soldati si faceva sentire la voce delle assemblee generali che si tenevano nella Piazza dell’Ancora, e che spesso scavalcavano le decisioni del soviet, come il 25 maggio 1917, quando tremila marinai irruppero nella sede del circolo navale, dove era riunito il presidium del soviet. I manifestanti impedirono la ratifica di un accordo tra il soviet di Kronstadt, quello di Pietrogrado (controllato dai menscevichi) e il Governo Kerenskij, che avrebbe compromesso l’autonomia dell’isola.
Gli eventi successivi videro i rivoluzionari di Kronstadt ancora protagonisti: a luglio giunsero in cinquemila nella capitale per partecipare alle manifestazioni contro la guerra e il governo che Kerenskij soffocò nel sangue; in agosto parteciparono alla mobilitazione per fermare l’avanzata del generale zarista Kornilov che fu sconfitto dalla mobilitazione popolare. Poi il soviet dell’isola diede un sostegno concreto alle azioni che porteranno prima al rovesciamento del governo provvisorio e poi allo scioglimento dell’Assemblea Costituente.
Durante la guerra civile scatenata dai partiti borghesi, dai generali zaristi e dai governi dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti) distaccamenti di marinai e operai di Kronstadt sono presenti su tutti i fronti per animare la resistenza con il loro spirito combattivo, senza peraltro perdere la coscienza rivoluzionaria: il 18 aprile 1918 il soviet della base navale prende posizione contro la violenta repressione compiuta dai bolscevichi ai danni degli anarchici a Mosca.
Quando la guerra civile volge al termine, fra i settori più combattivi della classe operaia e i soldati e marinai di avanguardia si diffonde l’insofferenza per il regime imposto dal governo bolscevico fino a prendere coscienza della necessità di una terza rivoluzione: dopo la prima che ha abbattuto l’autocrazia zarista e la seconda che ha cacciato i partiti borghesi dal governo, la restaurazione del potere dei soviet, con la cacciata dei burocrati di partito, e il ripristino del potere operaio in fabbrica e nella società potrà avvenire solo con una nuova rivoluzione. I grandi scioperi di Pietrogrado e la rivolta di Kronstadt sono i segni di questa dinamica di classe. Contrariamente a quanto sostenuto dai socialisti autoritari, la dittatura del proletariato non porterà alla libera associazione dei produttori e dei consumatori, lo Stato “operaio” non si estinguerà spontaneamente, ma sarà necessaria una nuova rottura rivoluzionaria: questo concetto fondamentale dell’anarchismo verrà fatto proprio dai proletari rivoluzionari di Pietrogrado e di Kronstadt, e confermato dalla loro tragica esperienza. Come farebbe piacere agli eredi dei bolscevichi e agli apologeti della democrazia, i ribelli non avevano in mente la restaurazione del potere borghese, ma la piena attuazione dell’autogestione proletaria e del federalismo.
La vicenda di Kronstadt strappa la storia della Rivoluzione Russa e del successivo processo ultradecennale di restaurazione capitalistica dalla cronaca degli intrighi di palazzo e la restituisce alla dinamica dello scontro di classe e alle tendenze sociali più forti delle volontà degli individui o della teoria di un partito, per quanto “scientifica”. A seconda della corrente di riferimento, gli storici di ispirazione bolscevica spiegano la “degenerazione” con tradimenti e complotti; la loro storia “è spesso solo un’immagine speculare della storiografia borghese, una filtrazione nei ranghi del movimento operaio di metodi di pensiero tipicamente borghesi. Nel mondo di questo tipo di “storici” capi di genio sostituiscono i re e le regine del mondo borghese. Famosi congressi, divisioni o controversie, l’ascesa e la caduta di partiti o sindacati politici, l’emergere o la degenerazione di questa o quella leadership sostituiscono le battaglie intestine dei governanti del passato. Le masse non appaiono mai in modo indipendente sulla scena storica, facendo la loro storia. Nella migliore delle ipotesi esse si limitano a “fornire il vapore”, consentendo ad altri di guidare la locomotiva, come disse con delicatezza Stalin.” (M. Brinton, Prefazione a “La Comune di Kronstadt” di Ida Mett – 1967).
Oggi queste posizioni hanno perso potere ed influenza, ma un’altra ideologia minaccia il proletariato rivoluzionario. L’ideologia dominante oggi cerca di cancellare ogni prospettiva rivoluzionaria: la rivoluzione russa sarebbe stata solo un bagno di sangue e, come ogni altra rivoluzione, avrebbe dato vita ad una feroce tirannia.
Gli anarchici al contrario sono convinti che l’insurrezione vittoriosa sia l’unico mezzo per determinare la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi dei nuovi rapporti sociali latenti sotto il dominio del capitale e del governo.
L’esperienza dei marinai e degli operai rivoluzionari in Russia, come cinquant’anni prima la Comune di Parigi, ci consegna un modello di organizzazione sociale, basato sull’autogoverno e il federalismo (alternativo al modello gerarchico, dittatoriale o democratico) che ha influenzato la successiva elaborazione del movimento anarchico e ha cambiato radicalmente l’atteggiamento rispetto alla ricostruzione sociale, e al ruolo in essa dei sindacati.
Il dibattito apertosi anche in Italia all’indomani della Rivoluzione Russa attraversò tutte le organizzazioni del Movimento operaio: politiche (Partito Socialista, Unione Anarchica Italiana) e sindacali (Confederazione Generale del Lavoro, Unione Sindacale Italiana, Sindacato Ferrovieri, Federazione Lavoratori del Mare). Sul tema dei Consigli di Fabbrica c’era chi sosteneva che potevano essere eletti solo dagli iscritti ai sindacati e altri che sostenevano che tutti i lavoratori, iscritti o meno al sindacato, erano elettori ed eleggibili, posizione che poi venne applicata nella maggior parte dei casi.
Anche sul tema dei soviet emersero posizioni diverse: da una parte la Frazione Comunista Astensionista del PSI (embrione del futuro Partito Comunista d’Italia) proponeva l’adozione pura e semplice del modello previsto dalla Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, di recente approvata (1918). Altri, Angelo Tasca in primis, vedevano nelle Camere del Lavoro già esistenti l’embrione di tali strutture, riferendosi all’originaria natura di comitati di sciopero. Il congresso di Bologna dell’Unione Anarchica Italiana (1920) approvò una mozione che riteneva possibile per gli aderenti all’Unione sostenere i soviet, a condizione che questi nascessero da movimenti di base e non fossero la trasposizione di modelli preconfezionati.
Il dibattito su questi temi continuò all’interno del movimento anarchico anche dopo la rottura definitiva con i bolscevichi e il governo sovietico. Nel programma minimo della Federazione Anarchica Italiana (1945) si fa esplicito riferimento ai comitati per gestire la ricostruzione postbellica dal basso e al di fuori del controllo statale.
Il modello dei soviet, il modello della Comune di Parigi, il modello dell’autogoverno e del federalismo sono incompatibili con qualsiasi forma di dittatura, che rimane sempre lo strumento del dominio di una classe sull’altra, il modello della rivoluzione borghese e non della rivoluzione proletaria.
Noi siamo convinti che il futuro è quello della rivoluzione proletaria, e in questa rivoluzione l’anarchismo avrà qualcosa da dire.
Come ha scritto Frank Mintz, recensendo il libro di Alexander Skirda “Kronstadt 1921 – il proletariato contro la dittatura comunista”, «Kronstadt mi ricorda il presente: non ci sono forse “democratici” disposti a farci pagare e inghiottire soluzioni economiche? “Tina [There is no alternative, non c’è alternativa]” è per i nostri leader l’argomento cardine, che giustifica l’argomento della mitragliatrice in futuro.
I residui marxisti leninisti hanno il loro kit bolscevico pronto all’uso, per portare al popolo la Soluzione. E il Partito Comunista Cinese ha già indicato la “via luminosa” del futuro alcuni anni fa, reprimendo gli scioperi dei contadini con le mitragliatrici.
Per superare entrambi i lati di questo pericolo unico e iniquo, è necessario assimilare il messaggio di Kronstadt: con una mano la difesa delle libertà individuali e con l’altra arma pronta a proteggere la democrazia dal basso».
Tiziano Antonelli